di Carlo Goldoni
con Anna Calarco, Domenico Chilà, Massimo Lo Presti, Gabriele Profazio, Vanessa Schiavone, Gaetano Tramontana;
Costumi di Aldo Zucco
regia di Gaetano Tramontana
Il lavoro sulla “Bottega” parte dall’esigenza di capire cosa – al di là del comico e del gusto dell’intreccio – Goldoni riesce a dire all’uomo del 2000; quali elementi della sua drammaturgia siano capaci di parlare allo spettatore di oggi, quali urgenze e necessità possono intravedersi nel testo goldoniano ed emergere attraverso la lettura che l’attore contemporaneo è necessariamente chiamato a fare.
Nella Bottega del caffè – spettacolo del 2006 che SpazioTeatro riprende in una nuova versione e con un nnuovo cast – ci ha sollecitato il particolare scontro fra il bene e il male, o meglio: il fascino perverso del male, purtroppo più “interessante”, oggi, del bene, che spesso si rivela noioso, banale, rasentando il bigottismo.
Poco importa se il male qui è “solo” il vizio – del gioco, della “bella vita” – peraltro molto moderno ed efficace in una lettura metaforica del “male”. Quel che preme è quanto l’attrazione che esso esercita sia potente, efficiente, nella sua anticonvenzionale opposizione ai valori tradizionali della famiglia, del matrimonio, della parsimonia…
Ma Goldoni non è certo un moralista, e la verbosità un po’ piagnona che caratterizza il buon Ridolfo fa intravedere una certa indulgenza dell’autore nei confronti dell’aspirazione a una “bella vita” rischiosa, egoista ma eccitante.
Il racconto è quindi intriso di una cifra grottesca che si mischia ad altri registri narrativi – comico, musicale, drammatico – componendo un affresco che, a dispetto dell’inevitabile lieto fine (ma per chi?), può lasciare una sconcertante sensazione di vuoto.
Partendo dalle premesse, il lavoro con gli attori ha assunto sin da subito un ritmo sostenuto, nella ricerca di una musicalità “goliardica”, con un occhio all’opera buffa, a una tradizione, insomma, propria della cultura popolare italiana.
Tutto questo ben si addiceva alla raffigurazione della piazza cittadina come “cortile allargato”, ed il “caffè” del titolo che prefigura proprio quello che il moderno bar rappresenta oggi, in provincia ma anche nelle grandi città.
Crocevia di incontri, distrazioni, ma soprattutto di chiacchiera, di pettegolezzo, non necessariamente malevolo, comunque sempre vetrina di personaggi, tipi caratteristici della nostra cultura, rimasti tali sin da quando Goldoni ne ritraeva magistralmente i tratti nelle sue commedie.
Aver optato per una scelta iconica decisamente non “goldoniana”, ma ispirata ad una stagione molto più recente della cultura italiana – il futurismo nella sua componente visiva, e non ideologica – ci ha consentito di guardare alla storia e all’intreccio liberi dalla tradizione rappresentativa di un Goldoni “classico”.
Abbiamo quindi raggiunto, almeno in parte, quello che ci prefiggevamo: sottolineare quanto una certa cultura italiana – quella che spesso sprezzatamene si definisce “provinciale” – sia inscritta nel nostro dna e probabilmente accompagnerà questo paese per sempre, sopravvivendo a differenti stagioni politiche, riforme e quant’altro.
Il gossip, le avventure extraconiugali ripetute ed effimere, il maschilismo latente e, non ultimo, il ripudio della verità giustificato dai metodi non ortodossi con la quale la si raggiunge (la delazione, le intercettazioni, lo spionaggio), partono da lontano, passano attraverso Goldoni e raggiungono i nostri organi di informazione, la nostra quotidianità, i nostri…… caffè!