di Luigi Pirandello
con Domenica R. Buda, Gaetano Tramontana,
musiche originali di Giuseppe Tropeano
voce recitante di Luigi Pirandello: Salvatore Neri
scene e costumi di Aldo Zucco
regia di Gaetano Tramontana
Produzione SpazioTeatro 2008
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La nuova colonia è un mito sociale, il primo dei “miti” pirandelliani – composto nel 1928 – cui seguiranno con Lazzaro il mito religioso e con I giganti della montagna il mito dell’arte.
Testo pochissimo frequentato – a differenza dei “Giganti” di cui a distanza di anni si ha memoria dello storico allestimento firmato da Giorgio Strehler – La nuova colonia da tempo ci attira per almeno due motivi.
Il carattere popolare del testo, a partire dalla sua ambientazione (un borgo di pescatori, squallido e francamente non ben frequentato), così distante dalle ambientazioni borghesi che caratterizzano i testi più noti del drammaturgo siciliano (da Così è (se vi pare) a Come tu mi vuoi, dal Berretto a sonagli all’Enrico IV) o quelli metateatrali e surreali dei Sei personaggi in cerca d’autore o di Questa sera si recita a soggetto; l’aria che si respira nella Nuova colonia è più simile a quella di Liolà o della Giara, quindi più vicina alle novelle (anche sul piano cronologico), con una sottolineatura, però, più forte della componente drammatica, se non addirittura tragica.
Il profilo dei personaggi è forte e carico di passionalità, anzi proprio la repressione degli istinti si pone ad un certo punto come elemento catalizzante della narrazione.
Poveri, ladri e prostitute popolano La nuova colonia: un nucleo di diseredati, spinto con forza ai margini della società, che decide di cambiar vita e di esiliarsi da sé, per costruire una nuova società, un nuovo mondo, che se a primo acchito sembra prendere il carattere della ribellione, ad un’attenta lettura si rivela come ferma volontà di redenzione: darsi una seconda opportunità di liberarsi da un passato di illegalità, darsela da sé questa opportunità visto che la cosiddetta società civile non ci pensa neanche, avendoli marchiati a vita come reietti.
E qui risiede il secondo motivo d’attrazione: la riflessione sulla possibilità di ricreare una comunità garantendo regole giuste e democratiche. Impresa ardua, quasi impossibile: la ferinità dell’animo umano tende ad avere la meglio, nonostante i tentativi più puri; la convivenza ribalta addirittura i valori individuali, facendo prevalere l’interesse ed un costante stato d’emergenza.
Una tematica quindi di un’attualità impressionante, addirittura profetica: è il 1928, data spartiacque fra le due guerre che hanno devastato l’Europa: la prima non avrebbe insegnato niente, visto che dopo vent’anni la “civiltà” sarebbe nuovamente caduta vittima di se stessa.
Nota di regia
Abbiamo scelto di agire drammaturgicamente sul testo originale, adottando una forma narrativa che utilizza la memoria per raccontare la vicenda “a posteriori”, attraverso i ricordi di Dorò, il personaggio più giovane, cerniera fra il mondo dei ricchi e “padroni”, a cui appartiene, e il mondo dei pescatori che lo affascina e che lo adotta per la sua purezza d’animo: divenuto adulto, Dorò è, nella nostra versione, l’unico superstite (forse) della sciagura finale.
Accanto a lui prende vita la figura della Spera, protagonista femminile e nucleo della storia.
La musica dal vivo ed il ricorso alle maschere completano questa nostra interpretazione che prova a riprodurre le atmosfere, il clima, gli ambienti ed i motivi anche intimi dell’opera di Pirandello.
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