SpazioTeatro
presenta
UN ALTRO METRO ANCORA
Ballata sul bordo della vita
di Katia Colica
diretto e interpretato da Gaetano Tramontana
musiche di Antonio Aprile
con la partecipazione di Enza Caridi
scene: Roberto Morabito, Katia Spanò
Luci: Simone Casile
realizzazione video a cura di:
Antonio Aprile, Simone Casile, Giovanna Catalano, Katia Colica.
Dalla rassegna stampa
“… il nuovo spettacolo di SpazioTeatro trasporta gli spettatori in un viaggio che è storia e attualità insieme… Tramontana costruisce un percorso scenico coinvolgente sottolineato dall’apporto musicale di Antonio Aprile, attraverso l’uso dello spazio che diventa racconto e linguaggio poetico.”
Paola Abenavoli
“Le parole di Katia Colica donano alla fisicità dell’attore una leggerezza estrema; viceversa il dinamismo di Gaetano Tramontana rende spedita la prosa, trasformandola in narrazione coerente”
Antonio Calabrò
“Una miscela di fatti e parole, ricordi, paure ed emozioni e sulla scena Gaetano Tramontana che salta da un lato all’altro del palco in un intreccio di azioni: conta e cammina, conta e cammina; un ritmo incalzante…”
Anna Foti
“Impeccabile Gaetano Tramontana, tiene incollato lo spettatore, per quasi un’ora e mezza, in un monologo che entra a sollecitare emozioni viscerali.”
Gabriella Lax
Sul finire del secondo conflitto mondiale, un giovane si trova a condurre un gruppo di sfollati – uomini, donne e bambini – attraverso un campo minato.
Si offre quindi volontario per andare avanti e saggiare il terreno, calpestando per primo una terra che può farlo saltare in aria ad ogni passo, pur di aiutare gli altri a tornare a casa e a riprendersi la loro vita.
Lui, disertore e per sua stessa ammissione poco coraggioso, che non ha nessuno da cui tornare, che non ha più casa, distrutta dai bombardamenti, coglie l’ultima occasione per dare una ragione al suo essere ancora in vita.
Durante questo disincantato gesto di altruismo, ripercorriamo la sua vita, le sue aspettative deluse, i suoi fallimenti, tutti raccontati in tono lieve e sereno, non raramente ironico.
E mentre racconta, il giovane mescola pensieri propri e parole per i suoi compagni, tra passato e presente e un futuro che solo adesso, a poco a poco – attraversando una terra desolata che inconsapevolmente la fa diventare “eroe per caso” – sembra per lui diventare possibile e luminoso.
Nota dell’autore
La drammaturgia è completamente ispirata a una storia vera che ha coinvolto mia madre, da bambina.
Il protagonista, tutt’oggi, è rimasto anonimo: un giovanissimo ribelle che è fuggito dall’esercito fascista e che ha guidato un gruppo di famiglie sfollate lungo un campo minato, salvando loro la vita e assumendosi la responsabilità di essere il primo della fila rischiando di saltare in aria.
Quest’opera vuole celebrare le centinaia di piccoli combattenti della resistenza, quegli eroi diversi, poco riconoscibili o consueti, lontani dall’immaginario collettivo. Giovani eroi che col loro esempio hanno aperto nuove strade alla politica e alla società civile (da qui i riferimenti a Peppino Impastato) e che non avranno mai nome.
Il testo teatrale, seppur ambientato nell’epoca dell’ultimo conflitto bellico mondiale, è una finestra sulla condizione umana attuale: la complessità delle scelte, il coraggio e la codardia, la solitudine e il senso di solidarietà si mescolano dentro gli stati d’animo del personaggio, incrociandosi più volte attorno a un nodo centrale che è il dramma della condizione delle vittime di tutte le guerre. L’opera, pertanto, cambia declinazione in maniera sottaciuta, universalizza attualizzando la tragedia che pur collocata in un contesto preciso potrebbe svolgersi ovunque e in ogni epoca.
Katia Colica
Note di regia
Immergendomi nella lettura del testo di Katia Colica con l’occhio rivolto alla messa in scena, ho colto una sorta di paradosso incarnato nel protagonista: il suo diventare “eroe per caso” (ma lo sarà poi, realmente? riuscirà a portare a termine non tanto il proprio viaggio quanto quello dei suoi casuali compagni?) non costituisce una mitopoiesi tradizionale che sfocia nel riconoscimento pubblico del valore dell’individuo, lui infatti, comunque vada, resterà uno sconosciuto, uno dei tanti numeri attraversati dalla guerra; forse qualcuno dei sopravvissuti a questa marcia che lui conduce se lo ricorderà, racconterà di lui ai propri figli e poi ai nipoti, ma il suo nome resterà sconosciuto, come infatti avviene nei ricordi della madre dell’autrice.
La costruzione dell’eroe che il testo narra è una costruzione tutta interna alla carne e alla mente del protagonista, è lui stesso che in scena percorre un doppio cammino: la marcia attraverso il campo minato e contemporaneamente il viaggio attraverso la propria storia personale, recuperando a sé stesso una dignità che non credeva di avere mai avuto.
Il suo corpo all’inizio del racconto è già a pezzi, è già frammentato da un passato di guerra, ecco perché l’eventuale ordigno che potrebbe farlo saltare in aria non farebbe in fin dei conti un grave danno, ed ecco perché si propone come avamposto del sacrificio riconoscendo agli altri e non a sé un valore degno di continuare a vivere.
Ma passo dopo passo, metro dopo metro, seguendo un istinto assolutamente aleatorio, è come se questa marcia facesse chiarezza nella sua storia, disegnando un terzo cammino che può rappresentare il suo futuro.
Allora anche lui, nonostante il suo passato, si scopre degno di un futuro come tutti gli altri, come quella fila di disgraziati che si porta dietro.
È qui che scatta il reale atto eroico: il protagonista si offre volontario e parte in testa al gruppo perché sente di non avere niente da perdere a differenza dei suoi compagni; la marcia lo porta piano piano a rivedere tutto di sé; percepisce quindi che anche lui è “degno di un futuro migliore” che rischia di perdere se mette il piede nel posto sbagliato; continua però a guidare lui la fila, senza mai mettere in dubbio la cosa, con lo stesso atteggiamento disincantato che lo ha guidato per tutta la vita; dimostrando prima di tutto a sé stesso che il valore dell’individuo non sta negli atti platealmente eroici o negli atteggiamenti estremi, bensì nella forza di volontà e nell’altruismo.
Lavorando oggi a questa storia, recuperando fuori e dentro di me immagini utili alla messa in scena, è impossibile non pensare alle marce di sfollati o profughi che quotidianamente ci raggiungono ormai non solo attraverso i media.
Questo testo parla anche di loro, perché le guerre non sono soltanto quelle dichiarate e combattute da eserciti che si fronteggiano, ma in ogni momento, chiunque di noi può ritrovarsi catapultato in una dimensione di senzaterra, circondato da un paesaggio desolato, a fare i conti col proprio passato, con un presente tutto da decifrare, per inventarsi un futuro che non avrebbe mai immaginato.
Gaetano Tramontana
Su fb gli scatti di Marco Costantino e Aldo Valenti
Rassegna stampa
Cronache delle Calabrie 24_01_2017
CulturalLife 21_02_2016
ZoomSud 28_02_2016
Gabriella Lax 23_02_2016
ReggioTV 03_03_2016
MotuProprio News 22_02_2016
intervista a Katia Colica nel post spettacolo